Sembra una realtà lontanissima da quella del nostro paese eppure succede in Baviera a poche centinaia di chilometri da Bassano del Grappa, è veramente necessario soffermarsi a riflettere su come stia crescendo il divario con gli altri paesi europei rispetto al tema dei diritti delle coppie gay, della laicità dello stato e dei diritti civili in generale.

EuropeFa scalpore la decisione della Corte Europea di Giustizia del Lussemburgo, secondo la quale alla morte di un lavoratore del settore spettacolo, al partner gay, regolarmente unito in partnership civile secondo la legge tedesca (che riserva questo istituto specificamente alle coppie omosessuali), spetta la stessa pensione integrativa prevista per il coniuge eterosessuale superstite legato da matrimonio. Fa scalpore, ma non dovrebbe, sia perché ormai è così in tutti i paesi che riconoscono le unioni civili (o i matrimoni gay) e dunque in quasi tutta Europa, eccetto che da noi, Grecia, Austria e Irlanda; sia perché la direttiva europea 78/2000, che vieta trattamenti discriminatori sul posto di lavoro fondati su (fra l’altro) l’orientamento sessuale, sembra chiara e dovrebbe, ormai, essere acquisita.
Il caso è semplice: due gay bavaresi si erano uniti civilmente in partnership nel 2001, non appena la legge glielo consentì. Nel 2005 uno dei due, quello che aveva lavorato una vita come scenografo, muore. Il suo partner allora chiede al Fondo per i Lavoratori dello Spettacolo di poter beneficiare di una previsione contrattuale di settore che riconosce una pensione aggiuntiva. Il Fondo nega il beneficio ed il “vedovo” gay lo cita in giudizio, sostenendo che nel caso si rinviene una discriminazione alla luce della direttiva europea del 2000: se fossero stati di sesso diverso, avrebbero potuto sposarsi ed il beneficio non avrebbe potuto essere negato; siccome erano omosessuali, hanno potuto solo unirsi civilmente in partnership, ma la situazione è sostanzialmente la medesima. Il tribunale bavarese rimette preventivamente la questione alla Corte Europea, che ieri si è pronunciata positivamente per il “vedovo” gay e rimanda la questione, per l’applicazione del principio enunciato, al giudice di provenienza. E’ chiaro che il caso, visto dall’Italia ha alcune particolarità. Prima di tutto, i due erano uniti legalmente in partnership civile: da noi ciò non è ancora possibile. Secondo, in Germania, dove le partnership furono introdotte nel 2001, si procedette velocemente a rivedere il codice della previdenza sociale nel dicembre 2004, equiparando i legami da partnership a quelli coniugali. Quindi, una parificazione ai fini del sistema previdenziale nazionale fra matrimonio e unioni civili omo, in Germania già c’era.
La Corte dribbla tutte le obiezioni proposte dalla difesa del Fondo. Due sono i punti importanti della sentenza: è vero che vi è una riserva per le legislazioni nazionali in materia di status delle persone, ma gli stati membri debbono adeguarsi alla legislazione europea ed in particolare alle norme contro la discriminazione; poi, non si può ignorare che la legge del dicembre 2004 pone sullo stesso piano le coppie etero unite da matrimonio e quelle gay unite da partnership per quanto riguarda il sistema previdenziale nazionale, proprio perché sono uguali i presupposti in fatto: la vita in comune e la volontà di sostenersi vicendevolmente. Pure in una situazione molto diversa si potrebbe pensare di cominciare ad investire le due Corti europee, in campi diversi, di casi che mettano a nudo la miseria e l’ingiustizia della situazione italiana.

Ezio menzione – Avvocato e militante LGBT – Liberazione 02 Aprile 2008